132.221: i passi fatti;
92,53: i chilometri percorsi;
6: i giorni trascorsi a Londra.;
infinita: la meraviglia provata davanti a questa Signora Città, che ho visitato per le prima volta quest’anno, in ben 35 anni di vita.

Ammetto di essere partita con due bagagli a mano, quelli concessi da Ryanair più un altro, mentale, riempito di dubbi: su quanto fosse facile da girare la città e sulla mia incapacità di non perdere l’orientamento; sulle mie capacità di comprendere la lingua e farmi comprendere a mia volta; e di luoghi comuni: sulla pioggerellina, sulle persone, sul cibo… I primi due sono arrivati a destinazione; l’ultimo l’ho perso e non l’ho più ritrovato: del resto, si sa, meglio viaggiare leggeri.

Al di là della “solita” accoglienza che mi hanno riservato Adelia e Jochen, che mi fanno sempre sentire parte della loro famiglia e che fanno in modo, ogni volta, di mettermi a mio agio (e per questo non finirò mai di ringraziarli abbastanza), ho trovato accogliente anche la città, che lo è nei confronti di quanti la visitano in qualità di turisti e, come mi è sembrato di capire, verso quanti la scelgono per darsi un’altra opportunità, quella che il Paese di origine sembra avergli negato.

Mi è piaciuto mimetizzarmi nel flusso di persone dirette verso London Bridge alla ricerca della migliore angolazione per scattare foto a Tower Bridge, vestito con l’abito serale e lasciare che una lieve pioggerellina mi scivolasse addosso, non prima di aver fatto un salto ai giardini della Cattedrale di St Paul e cercare di simpatizzare con gli scoiattoli, sempre alla ricerca di qualcosa da sgranocchiare, sempre pronti a prendere qualcosa dalle tante persone presenti ma altrettanto lesti a scappare, senza dare troppa confidenza. Quanto avrei da imparare da questi piccoli, buffi, esserini.

Mi sono emozionata al British Museum, davanti alla Stele di Rosetta; ho ammirato l’eleganza delle forme plastiche dei vari Buddha, Shiva, Krishna, forme che goffamente tento di riproporre nel corso delle mie lezioni di yoga, lontana anni luce da quell’eleganza secolare; ho visto oggetti di una quotidianità lontana che ho sentito lo stesso molto vicina alla nostra.

Mi sono stupita davanti all’educazione e alla preparazione di piccoli bambini che, davanti a un quadro alla National Gallery, ponevano domande interessanti, rispondendo educatamente e senza aver timore del suono delle proprie parole e di sembrare sciocchi a causa loro agli occhi degli altri. Li ho sentiti lanciarsi in risposte varie, originali, mai banali, a tratti sorprendenti per la loro giovane età.

Mi sono commossa davanti a una sezione di sequoia di oltre 1300 anni; in presenza dello scheletro di un dodo, ormai estinto (a causa dell’uomo); ho provato un senso di angoscia soffermandomi su meteoriti più vecchi della Terra, su un frammento del suolo lunare e ho ammirato gemme di varie fogge, colori e dimensioni che purtroppo non verranno mai a contatto con la mia pelle. Ho amato quella splendida Cattedrale del sapere che è il Natural History Museum.

Ho tentato di ingaggiare, tra le vie di Notting Hill e le sue romantiche case colorate, il “mio” Hugh Grant ma mi sono dovuta accontentare di saziare la mia fame di affetto e amore con i datteri e i mirtilli comprati a Portobello Road e poi condivisi con gli scoiattoli di Kensington Park.

Mi sono persa tra le bancarelle di Camden Town, passando più tempo con il naso all’insù, a guardare le insegne delle varie attività, che a guardare dove mettessi i piedi. E come se fossi stata catapultata indietro nel tempo, mi sono pure beccata un “pezzo” da un punk che mi ha invitata gentilmente a non scattare foto alla merce che metteva in vendita e che era tutta di gran pregio (e comunque, come avrei potuto resistere al fascino di chi lasciava che dalle casse del proprio stereo venissero sparate, alle 9.30 di una tranquilla domenica mattina, le note del primo album omonimo del Led Zeppelin? Ditemelo voi.). Sono stata tentata di acquistare un paio di stivali di dubbio gusto ma che qui in Provincia non sarebbero stati troppo compresi (un giorno, però, sarete miei).

Avrei voluto tornare ai miei 17 anni, a quando la Pietra Filosofale mi fece innamorare di Harry Potter ma mi sono dovuta scontrare con il marketing e la lunga fila mi ha fatto desistere sia dal fare la fila per avvicinarmi al binario 9 e 3/4 (sognando di essere catapultata in un mondo magico) sia dal fare acquisti nello shop. Come avessi usato la bacchetta magica, puff… mi sono ritrovata invece nella colorata Carnaby Street, dove mi si invitava a non temere il futuro, a non vivere il passato con rimpianto e a vivere il presente con la giusta dose di amore.

Ho sorriso davanti a una bravissima cantante (italiana) a Piccadilly Circus, dove il freddo pungente congelava le dita e la punta del naso ma dove è bastato ascoltare un pò delle note che provenivano dalla sua chitarra per riuscire a percepire un pò di calore.

Ho visto un cane alla guida di un veicolo: ah, no, qui la guida è a destra, che sto dicendo!

Ho percepito la grandezza del Colonnello Nelson; ancora di più di quella della Regina Vittoria; ho socializzato con molti animali a St James Park; mi sono persa tra i libri usati, le stampe, i vinili di South Bank per ritrovarmi, dopo poco, a Gabriel’s Wharf e ancora, mentre ero alla ricerca di un murales dedicato a Shakespeare a Blackfriars (che non ho poi trovato), a fare su e giù tra i piani della TATE Modern Gallery e poter ammirare il mio primo Modigliani.

Non mi sono mai sentita in pericolo, nemmeno quando ho scoperto, nel tardo pomeriggio, che c’era stato un attentato sul London Bridge; non me ne ero accorta.

Mi sono inchinata davanti alla grandezza della Regina Elisabetta I, che sposò il suo popolo e sconfisse la Invincibile Armada; mi sono sentita stupida al cospetto di Darwin e Newton. Ho avuto il torcicollo a furia di elevare lo sguardo al soffitto di Westminster Abbey, che sprigiona odore di Storia da ogni sua mattonella.

Ho sfidato il senso di vertigine a 136 metri d’altezza, quelli del London Eye, lasciando quasi che i raggi del sole mi bruciassero le retine: alla faccia del cielo color grigio “fumo di Londra”.

Mi sono seduta su una delle panchine lungo il Tamigi, davanti alla Torre di Londra, custode dei Gioielli della Corona, ad ammirare il panorama, ingentilito da una calda luce dorata, la patina perfetta per ricoprire una città così regale e, allo stesso tempo, tanto open-minded.

Mi sono dovuta ricredere: pensavo di trovare gente fagocitata dai ritmi frenetici della City e ho notato invece persone padrone del proprio tempo, da spendere magari in uno dei tanti spazi verdi della città.

Ho letteralmente adorato la street art: come ti giri, c’è sempre un murales che non è mai il capriccio di un singolo che aveva solo l’intento di imbruttire un angolo della città. C’è arte ovunque, a Londra.

Avrei altro da dire, riguardo questa splendida città perchè i miei occhi hanno visto davvero tanto ma a questo punto non posso far altro che far parlare per me le mie foto. Sperando di non tediarvi troppo oltre, si capisce!

Letizia Castagnoli

Camplese di Campli, sognatrice e ritardataria cronica, credo nella forza del sorriso e nelle emozioni positive. Parlo due lingue, adoro i piccoli borghi, il mare e i suoi colori, il profumo intenso della macchia mediterranea…ma non ci posso fare nulla, il mio vero amore è la montagna. Scrivo, fotografo e racconto storie sul mondo...sono curiosa, tanto, tanto curiosa!

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